Action figure e sculture – Contaminazioni d’arte

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Una statuina di Meissen.

In un’ipotetica storia del soprammobile un capitolo importante dovrtebbe essere riservato alle action figure. Nate negli anni ’60 come giocattoli, con i GI Joe e ipersonaggi della Marx, col passar del tempo le action figure si sono progressivamente affrancate dallo status di giocattoli, per proporsi come oggetti da collezione da esporre, al pari di piccole sculture. Quei giocattoli sono andati a colmare un vuoto: le generazioni precedenti esponevano sugli scaffali e nelle vetrinette le ceramiche di Capodimonte o di Meissen, ma anche le statuette kitsch ispirate ai mestieri.

A un livello superiore, poi, c’erano le sculture déco firmate da grandi autori, come Chiparus. Successivamente, chi ha giocato negli anni ’60 con i Gi Joe e similiari, dopo aver immagazzinato quell’immaginario nella propria mewmoria, ha pensato bene di sostituire le statuine predilette dai genitori con le action figure. Ecco allora che il Deep Sea Diver dei GI Joe e gli eroi di Star Wars spodestano i vecchi soprammobili, rivendicando silenziosamente il proprio primato artistico.

Dr. Doom di Sideshow e scultura primi ‘900.
Statuina di Capodimonte.

Si creano così riuscite contaminazioni di linguaggi, che funzionano ancora meglio quando si creano degli accostamenti che mettano in rilievo le affinità elettive. Se il Silver Knight della Marx è esposto da solo su uno scaffale, fa sicuramente una bella figura. Ma se lo si affianca a una scultura in porcellana in qualche modo affine, diventa ancor più interessante. Quindi si aprono due strade possibili: quella della collezione omogenea, con personaggi della stessa serie, e quella della contaminazione creativa, che gioca sui contrasti, magari accostando a un’action figure d’autore una scultura prodotta da Lladrò e creata da Jaime Hayon.

Aveva ragione Magritte quando dipingeva una pipa e scriveva perentorio “Questa non è una pipa”. A volte le cose non sono quello che sembrano. I giocattoli, che per tanto tempo sono stati intrattenimento per i più piccoli e tramite per le operazioni nostalgia dei grandi, oggi hanno un’altra funzione, sono diventati un valido sostituto delle opere d’arte da esporre in casa propria. E non si tratta di surrogati, ma di oggetti con una propria personalità e con un proprio valore.

GI Joe Deep Sea Diver e mug di soggetto marino.

Finora i giocattoli, che erano perlopiù le macchinine di latta e i soldatini di piombo, incarnavano vari tipi di collezioni ed erano relegati nelle vetrinette in stile liberty ereditate dagli avi o in più spartane librerie Billy dell’Ikea. Oggi i giocattoli rivendicano un proprio nuovo status e si ergono con orgoglio a oggetti artistici, spodestando dalle mensole quelli precedenti. Se i nonni adornavano la propria casa con statuine in ceramica e teiere in silverplate, gli adulti di oggi hanno riscoperto la valenza estetica del giocattolo, e trattano le action figure e le bambole come oggetti a metà tra l’arte e il design, preferiti ai soprammobili kitsch dei nonni e ai piccoli gadget hi-tech di cattivo gusto degli anni ’80 dei genitori

Ceramica di Jaime Hayon per Lladrò.

I giocattoli, quelli più curati, sono a tutti gli effetti piccole opere d’arte, raccontano un immaginario pop molto caro soprattutto a chi ha più di quarant’anni. Le Barbie, ovviamente, ma anche i Masters of the Universe, i Gi Joe, le statuette iperrealistiche proposte da Sideshow, sono oggetti di pregio sempre più presenti nelle case dei ragazzi e delle ragazze del secolo scorso.

Tanti anni fa scrissi una lettera alla Marvel, pubblicata sull’edizione americana, in cui dicevo che i loro fumetti avrebbero meritato di essere esposti al museo d’arte moderna, cosa che poi è successa. Adesso mi piacerebbe vedere un po’ di action figure nella collezione di un museo, accanto a sculture dell’800 e del ‘900.

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