La nuova cultura del gioco

 In Architettura ludica

La cultura del gioco si sta affermando sempre più come una componente essenziale di questo periodo storico. In questi anni segnati da guerre e catastrofi globali si cerca un rifugio in un’attitudine almeno apparentemente spensierarata. Apparentemente perché in realtà questo tipo di atteggiamento è un po’ come quello del clown, che dietro l’ampio sorriso cela una profonda malinconia. Il gioco oggi è anche e soprattutto sinonimo di memoria, è il tentativo di aggrapparsi a un paradiso perduto dell’infanzia e dell’adolescenza il cui tramite sono i giocattoli di una volta, recuperati faticosamente su eBay e nei mercatini. Sono soprattutto i baby boomer a guidare questa rivalsa del tempo perduto: tra loro sono tanti i collezionisti, che non solo trasformano le loro case in piccoli musei che ricreano le loro camerette di un tempo, ma ambiscono a una trasformazione in chiave più giocosa della città, ampliando i confini dei loro desideri. E in effetti gli ex ragazzi della generazione degli anni ’60, a una prova di ludicizzazione della città hanno già assistito, al tempo del Postmodern, quando l’architettura si permise, seppur per un breve periodo, di giocare con lo strumento dell’ironia.

Oggi tutto appare un po’ più serio, più austero, a volte più cupo. Reduci da anni di lockdown, ci siamo assuefatti a un grigiore diffuso, a una claustrofobia anche metaforica, che tende ad appiattire gli orizzonti, soprattutto quelli della fantasia. Ecco allora che si cerca rifugio nel mondo del giocattolo, che ancora riesce a custodire i valori di una fantasia libera, che si muove fuori dagli schemi. E ancora meglio se il giocattolo è vintage, perché ha cristallizzato la propria autorevolezza grazie alla patina del tempo.

Dal libro The Toys of He-Man and The Masters of the Universe (Dark Horse)

Il dibattito culturale

Tutti questi discorsi sono molto attuali, come testimoniano le mostre, le conferenze e il dibattito culturale. Da poco a Vienna, all’Architektur Zentrum, si è conclusa la mostra Serious Fun. Architecture & Games, curata da Mélanie van der Hoorn, che prende in esame giochi di architettura e progettazione urbana ideati e realizzati da architetti, urbanisti, artisti e sviluppatori di giochi dalla fine del XX secolo, dalle case delle bambole ai giochi di costruzione e costruzione di città, da Sim City a Block by Block. Saskia van der Stein, dsirettore dell’International Architecture Biennale Rotterdam, sta facendo un importante lavoro di ricerca sul tema dell'”Architecture of Staged Realities“, ovvero sulle architetture delle varie location di Disneyland e sull’immaginario di Walt Disney in generale.

Su questa lunghezza d’onda si muovono anche le interviste sull’architettura ludica pubblicate da Artribune e i ragionamenti e le riflessioni di Architettura ludica, il libro in cui suggerisco che si possa parlare di una storia dell’architettura parallela, quella delle costruzioni giocattolo.

Il giocattolo tra ispirazione e memoria

Il tema del giocattolo come fonte di ispirazione è molto presente, su varie latitudini, da quella della memoria a quella dello studio della sua valenza storica. Il tema della memoria, per esempio, pervade il libro Toystellers, un volume che parla di giocattoli, collezioni e collrezionisti. Come ha scritto l’autore, Federico Ghiso, direttore creativo e copywriter nelle più importanti agenzie pubblicitarie italiane, “è un libro dedicato a tutti i collezionisti. È un libro che fa di ogni collezione una nostra traccia sul pianeta. È un libro rivolto al futuro, per chi raccoglierà questa passione”. Il volume, che raccoglie le storie e la passione dei più grandi collezionisti di giocattoli d’Italia, testimonia il desiderio e il bisogno di presevare un’importante eredità culturale e generazionale, quella dei giocattoli degli anni ’70 e ’80.

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